IL PIEMONTESISMO E LA BUROCRAZIA IN ITALIA DOPO L’UNITÀ

di Enrico Fagnano

Enrico Fagnano, l’Autore di questo saggio, di cui pubblichiamo alcuni estratti, è un noto e apprezzato intellettuale e attivista culturale campano: lo abbiamo incontrato sul Cammino di TerraeLiberAzione e subito riconosciuto, nella diversità, come Uno di Noi.

Enrico Fagnano è stato vicepresidente della prestigiosa Società Dante Alighieri di Napoli, ha costituito e diretto le preziose riviste letterarie Brilliancity (1979-86), L’Erba (1986-87) e La parola abitata (1988-93). Redattore di Radio Spazio Popolare, ha collaborato con i quotidiani Il Mattino, Napoli Oggi e Il Roma; e con i teatri napoletani Start e Spazio Libero. Attualmente cura le attività del Laboratorio permanente di poesia ed è attivo anche nel consiglio di amministrazione di Officina Mediterranea.

Enrico Fagnano ha pubblicato diversi libri, tra i quali una sintetica “Storia dell’Italia Unita” (Amazon, 2021) e il PIEMONTESISMO E LA BUROCRAZIA IN ITALIA DOPO L’UNITÀ, di cui proponiamo alcuni estratti, che ci sollecitano anche un approfondimento sul “liberalprotezionismo” e la Fiscalità nella concezione e nella prassi dello Stato e dell’Economia nel Regno delle Due Sicilie.

Dalla nostra Storia vera -una storia di sconfitte “risorgimentate”, di cui siamo -volenti o nolenti- un prodotto, possiamo solo imparare: studiandola con Metodo. Come ci insegnò negli anni Ottanta il nostro Maestro Nicola Zitara.

Caro Enrico, abbiamo di cosa discutere seriamente e amabilmente: di questi tempi non è poco!.

@TerraeLiberAzione.

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Per contatti: enrico.fagnano@tiscali.it

canale Youtube: Il Sud dopo l’Unità


IL PIEMONTESISMO E LA BUROCRAZIA IN ITALIA DOPO L’UNITÀ

di Enrico Fagnano

Dopo l’Unità, a seguito del generale processo di piemontesizzazione della nuova Italia, la burocrazia degli Stati conquistati venne sostituita da quella del piccolo Stato subalpino, che il Villari* non esita a definire, come ‘lenta, pedantesca, intricata e tenacissima delle sue vecchie tradizioni’.

Ma alla sostituzione delle norme seguì anche la sostituzione degli uomini e i nuovi funzionari nella grande maggioranza non avevano nessuna competenza di tipo amministrativo e purtroppo non erano disposti a prenderne atto. (…)


Le differenze tra la politica amministrativa del Regno delle Due Sicilie e del Piemonte erano enormi e derivavano dalla diversa concezione che i due Stati avevano del proprio ruolo.

Il primo, in particolare, a questo riguardo aveva ereditato le idee dell’economista illuminista toscano Bernardo Tanucci. Venuto a Napoli con Carlo III nel 1735, inizialmente fu suo consigliere, poi dal 1754 al 1776 fu primo ministro e quindi di fatto governò per circa quaranta anni, quasi fino alla sua morte, avvenuta nel 1783. Tanucci riteneva che la ricchezza di un paese fosse rappresentata dalla somma della ricchezza dei suoi cittadini e per questo faceva in modo che la maggior parte del reddito rimanesse nella disponibilità di chi lo aveva prodotto. Era convinto, infatti, che i privati lo avrebbero investito con maggiore efficacia di quanto avrebbero potuto fare le strutture pubbliche. Le sue idee furono fatte proprie dai Borbone e anche Ferdinando II le portò avanti con determinazione.

Per comprendere il pensiero del noto economista, basta leggere l’epitaffio che volle sulla sua tomba. Non vi fece scrivere, infatti, che intendeva essere ricordato per le opere pubbliche realizzate, in ogni caso numerose e rilevanti, ma per essere riuscito a non aumentare di una sola lira le tasse durante i quaranta anni in cui aveva governato. (In sostanza, comunque, le tasse non furono aumentate neanche dai suoi successori).

Ben diversa era la situazione nel Regno di Sardegna, dove il governo intendeva occuparsi di ogni iniziativa e avere il controllo di ogni settore dell’economia. Per farlo, quindi, innanzi tutto aveva bisogno di disciplinare le singole attività con una serie ossessiva di leggi e di regolamenti, ma poi aveva anche bisogno di organismi complessi, per finanziare i quali erano necessarie somme ingenti.

Questo sistema, che, anziché chiarire le situazioni, le rendeva ancora più confuse, con la piemontesizzazione dei territori conquistati venne esteso all’Italia intera e rappresentò un forte limite allo sviluppo della nuova nazione, ma d’altronde la nostra amministrazione pubblica di oggi in buona misura ne subisce ancora le conseguenze.

Da quanto detto, tra il Regno delle Due Sicilie e quello sabaudo scaturiva una differenza fondamentale, che riguardava la dimensione stessa delle loro strutture.

I dipendenti pubblici, infatti, nello stato delle Due Sicilie, che aveva una popolazione di circa 9.400.000 abitanti, erano 38.000, mentre in quello subalpino, che aveva una popolazione di circa 4.200.000 abitanti, erano 76.000.

Fatte le proporzioni, nel primo su 100 abitanti ce n’era uno e nel secondo ce n’erano quattro o cinque.

Gli uffici piemontesi, quindi, erano affollati di impiegati, che spesso per il sovrapporsi delle direttive non sapevano neanche di preciso quali fossero i loro compiti. In una situazione del genere, tra l’altro, ovviamente era difficile effettuare controlli efficaci e pertanto, come è noto, la corruzione dilagava.

Negli uffici delle Due Sicilie, invece, gli occupati non eccedevano il numero strettamente necessario, potendo così svolgere le loro mansioni in maniera proficua e proprio l’efficienza dell’amministrazione era uno degli elementi che (insieme agli altri) attiravano i numerosi imprenditori dall’estero.

Dopo l’Unità i dirigenti e gli impiegati pubblici meridionali vennero rimossi e al loro posto, come si rileva nei testi precedentemente riportati, venne immesso un numero ben maggiore di dirigenti e impiegati provenienti dalle regioni settentrionali. Questi ignoravano completamente la realtà nella quale, spesso contro la loro volontà, venivano catapultati e anche per tale motivo, oltre a tutto il resto, in breve l’organizzazione dello Stato nel Sud si trovò nel disordine più assoluto. (…)

  • Pasquale Villari (Napoli, 1827 – Firenze, 1917) è stato uno storico e politico italiano. Fu senatore del Regno d’Italia nella XV legislatura e Ministro della pubblica istruzione dal 1891 al 1892.