La sicilietta italienata (1)

Estratto da TerraeLiberAzione-Aprile 2016. – Al British Museum: “Sicily: Culture and Conquest”. Sugli schermi globali dello Spettacolo coloniale dell’AntiSicilia vanno in scena i “Tesori della Civiltà senza Popolo”. L’ultimo stupro colonialista contro la Verità Siciliana, l’ennesima pagina nera di un GENOCIDIO CULTURALE lungo 156 anni.


Siculi, Sikani, Sikeliani, Siqillyani, Sicilienses… La Civiltà del Terramare Siciliano ha una GeoStoria PROPRIA, lunga diecimila anni. Non ne siamo gli eredi, ma l’eredità stessa. Il Tesoro siamo Noi.

La preHistoria non esiste: lo chiarì Engels. Esiste la Storia dell’Umanità che ci parla e interroga attraverso i manufatti, le rovine, i segni… del Lavoro Umano, stratificati nel Tempo, a ricordarci le mille Generazioni di cui non siamo eredi, quanto l’eredità stessa. Loro camminano dentro di noi. Ed esistono le piramidi-ziqqurat dell’Etna–chiunque le abbia costruite- cosiccome, protette al Museo di Vienna- abbiamo le Asce di Catania, scampate di contrabbando alla furia sbiancatrice dell’Accademia coloniale in tricolorata e massonica ascesa sociale nella sicilietta italienata di fine Ottocento. E’ meglio che restino a Vienna, per ora!.

Se i Sikani furono un ethnos dell’arcaico e perfino leggendario spazio di civilizzazione matriarcale che taluni definiscono “pelagico-atlantideo”, le cui forze spirituali trasmigrano anche nella civiltà dei Siculi, è del tutto attestato ed evidente che nessuno più dell’antico Popolo dei Siculi ha marcato l’identità dell’Isola, a tal punto che essa si chiama ancora Sicilia e i suoi abitanti si chiamano ancora Siciliani. I cosiddetti “Greci” sbarcarono profughi e accolti con pietà in Sicilia, paese dei Siculi. Partivano “raccogliendo la miseria di tutta la Grecia” (Archiloco). Parlano dialetti incomprensibili a loro stessi!.

La storia dei Siculi –navigatori e allevatori di cavalli, coltivatori e guerrieri- è storia lunga di una civiltà mediterranea, che lascia tracce di sé in spazi e dimensioni assai più ampi di quanto l’Accademia coloniale, nella sua ossessione sbiancatrice, si ostini a sostenere. Fu una grande Civiltà in movimento, che contribuì alla diffusione dell’Ulivo e trovò infine la sua Trinakria (=Giardino) nelle Valli dei Palikoi, i Gemelli Santi identificati –per geomanzia-coi Laghetti di Naftìa, il cuore di zolfo spirituale e politico della Civiltà dei Siculi, una facies strutturata e caratterizzante sul lungo periodo lo spazio di civilizzazione dell’Arcipelago di Trinakria (=Giardino).
In verità, la Civiltà siciliana è stata per millenni una spugna mediterranea, che respirava attingendo a culture multi-etniche e multi-religiose, proiettandone la forza sul Mare.

“Il Giappone? E’ la Sicilia dell’Est-Asia!” (Sir Artur Cotterell).

Una Sicilia “greca”, né tantopiù “magnogreca”, non è mai esistita. Era Sikelìa, uno spazio plurale di civilizzazione, semmai, né fu, comunque, mai altro. Dei cosiddetti “Greci”, i nostri brillanti Sikeliani, per quanto in forme distorte, sappiamo molte cose: non tutte, né ben compreso e divulgato è il quadro evolutivo delle apoikiai e delle loro relazioni “dialettiche”. (…)

Quanto ai Siculi, civiltà mediterranea dell’Ulivo, va rilevato quanto sia accanito, devastante e demenziale, lo sbiancamento, ammucciamento, mascariamento che la loro Memoria subisce da parte dell’Accademia massomafiosa dello Spettacolo coloniale inscenato sugli schermi tricolorati di questa sicilietta italienata. E’ la pagina più nera del tricolorato genocidio culturale che la nostra “Civiltà senza Popolo” sta subendo da almeno 156 anni.(…)

Nel quinto secolo delle Guerre Costituenti, fondata Palikè intorno al Laghetti Sacri, la Synteleia del Douketios federa le città-stato dei Siculi cogliendo i pericoli e le potenzialità del grande mutamento in corso nello spazio siciliano e nel mondo mediterraneo…Forte di un retroterra economico assai florido: uva e vino, carni e pelli, latte e formaggi, frutta e legname, grano e farro…E allevamenti di cavalli. Sale e Zolfo. Questa ricchezza rendeva perfino secondario lo scambio monetario, tesaurizzavano l’argento. E’ il secolo cruciale, di conflitti globali e regionali, che vide infine sorgere, nella “tragedia greca”, una “coscienza nazionale” Sikeliana: “Né Joni, né Dori: semu Sikeliani!”.

“Non è vergogna per uomini che abitano la stessa patria scendere a qualche concessione reciproca, Dori a Dori, Calcidesi a quelli dello stesso ceppo e, in complesso, tra genti vicine che abitano il medesimo suolo, lambito dal mare e distinto da un unico nome di popolo: Sikeliani. Combatteremo, io credo, e ricorreremo alla pace quando sarà opportuno, ma sempre tra noi, appellandoci a trattati che noi soli riguardino. Stringiamoci compatti sempre a far barriera, se siamo ragionevoli, contro genti straniere che si avanzino con propositi aggressivi. […]-(Ermocrate, Congresso di Gela, 424 a.C.).
Un decennio dopo: l’imperialismo ateniese aggredisce i Sikeliani, uscendone annichilito. La Lezione del Fiume Asinaro è la pietra tombale su Atene e sulle sue forze mentali.

Al tempo del Grande Congresso di Gela erano trascorsi pochi anni dalla caduta di Trinakria la Gloriosa erano trascorsi pochi anni dalla caduta di Trinakria la Gloriosa. Arroccata sulle Montagne che dominano le simetine correnti consacrate ai Palikoi di cui narra Virgilio nell’Eneide-, l’ultima città a cadere nelle Battaglie dei Siculi, fu Trinakria, la città-giardino. Nessuno si arrese: allo stremo delle forze, nel lungo assedio, si suicidarono in massa. I mercenari campani e siracusani entrarono in città a capo chino. Il bottino venne inviato all’oracolo di Delfi. La Roccaforte dei Siculi resisteva da otto mesi all’assedio quando esausta cadeva vittoriosa, come solo ai Popoli eroici è permesso, nella primavera dell’anno 439 a.C.

Iddhi si suicidarono in massa per difendere un semplice valore. L’Onore di Essere Liberi.

Il bottino saccheggiato a Trinakria –scrissero- lo inviarono all’Oracolo di Delfi.

Il Doukethios ha combattuto prima per federare, anche con la forza, l’ambiente siculo; poi contro i mercenari campani che l’oligarchia siracusana scagliava contro le Terre dei Siculi, e infine contro le Armate oligarchiche siracusane che vennero battute sul campo in diverse occasioni. Vasto consenso riscuoteva la Syntèleia dei Siculi nelle classi lavoratrici della metropoli siracusana, tra i Kyllýrioi, immigrati siculi attratti dalle forti agevolazioni, anche fiscali, che l’Epikrateia proponeva… E’ un aspetto poco studiato e ancor meno compreso delle lotte di classi nella Sicilia antica. D’altronde, se i Siculi non esistono o poco più, meglio glorificare i “bizantini” che ci imposero un latifondo schiavile e servile tributario delle chiese di Milano e Ravenna!. E’ quello che stanno facendo i giovani emergenti dell’Accademia coloniale.(…)

La Guerra di difesa della soggettività etnopolitica nello “spazio costituente”, guidata dal Douketios –che era morto l’anno prima in circostanze fortuite, almeno così riferisce Diodoro- contribuì al mutamento di prospettiva culturale e dei rapporti di classe a Siracusa, laddove il movimento politico-militare della Syntèleia riscuoteva ampia sympatheia, non solo nella componente sicula del proletariato metropolitano, i Kyllýrioi. Ed è utile ricordare la politica siracusana caratterizzata da forti agevolazioni fiscali e sociali finalizzate ad attrarre la manodopera qualificata, e, credo, anche i giovani del notabilato del mondo siculo. Mentre diffusi erano i matrimoni misti nella piana delle simetine correnti, tra siculi e sikeliani di radice caldidese. (…)

E’ utile ricordare che Ducezio non è nome di persona. Il Doukethios fu, in un certo senso, l’ultimo Rhesòs. Il Rhesòs, Re dei Siculi, è rex e augur, incarna dunque la Sovranità come Sacerdozio. Il Douketios fonda la sua capitale politica intorno al Santuario dei Palikoi (453 a.C.). E la battezza Palikè.
Il Rhesòs, Re dei Siculi, è rex e augur . Questo modello è un lascito dei Siculi al piccolo mondo laziale che sulle ceneri dei Latini sconfitti costruirà la Roma arcaica. Il modello del Rhesòs, è ipotizzabile, attraversa i millenni fino ai nostri giorni: il Pontifex, il Papa, come ultimo erede del Rhesòs siculo. Assai più, comunque, di un “relitto” etnoantropologico.

Nella dialettica della bilancia di potenze che si contese i Tre Mari siciliani, la Sikelìa cadde con Siracusa, nel 212 a.C., dopo secoli di dominio diplomatico e militare, commerciale e tecno-culturale di lungo raggio, mentre l’Assemblea dei Siculi, il Parlamento di Henna, venne sterminata a tradimento dai legionari di Lucio Pinario. Ma il demos siciliano non fu mai “romanizzato” e la presenza ordinaria dell’Urbe nella provincia “una e fatta”, non andò mai oltre le poche migliaia di coloni, funzionari e militari, i cui maggiorenti gestivano i propri affari extra legem, dal loro Conventum, una cupola ante litteram. Non discendiamo dagli antichi Romani, piuttosto, semmai, è vero il contrario. Alla prossima.

I Siciliani, sottomessi con la violenza, aspettavano l’occasione per rivoltarsi, e ciò accadde quando si unirono in massa agli schiavi insorti, i quali erano per lo più di origine siriaca.

A trentanni di distanza l’una dall’altra, le Rivoluzioni di Euno (139-132 a.C.) e Salvio (104-101 a.C.) e la Rivolta di Spartaco (73-71 a.C.), che tentò senza fortuna di raggiungere la Sicilia già insorta contro Verre, “ancorchè sconfitte, hanno avuto un ruolo di accelerazione nella crisi della Repubblica” (Canfora).

L’onda lunga, v’è ragione di credere, si spinge fin nel cuore dell’Urbe, nei sobborghi proletari di Roma, le roccaforti di Catilina. Il più grande rivoluzionario sociale che sia mai apparso nella Storia romana.
Nè le “verrine”, nè le “catilinarie” del centrista e palazzinaro Cicerone sarebbero mai state ben scritte –(peraltro ad uso politico-letterario, più che oratorio-processuale!)- senza le insurrezioni siciliane che scossero Roma nelle fondamenta.

Nell’insurrezione delle moltitudini è la costituzione materiale dell’Impero.
Sovrana e indipendente, quando riusciva ad afferrare la potenza del sea power mediterraneo, la Sicilia non è stata colonia di nessuno per millenni.

Nella “Civiltà senza Popolo”, nell’Isola senza Cielo, laddove un Tempo scorreva il Carro del Sole, svolazzava Pegaso cavallo alato e un ingegnere di nome Dedalo testò le sue ali artificiali, atterrando a Kamico accolto dai Sikani del Kokalos… Sotto questo Cielo che fu teatro di cosmogoniche Battaglie tra Giganti e Titani, sotto questo Cielo popolato di droni, scie chimiche e “santi che non funzionano”, U SICILIANU NOVU CAMMINA ADDHITTA, SEMINA VITA, COLTIVA BELLEZZA. La sua Patria è il Secolo XXI, la sua Matria è l’Isola di Trinakria. La sua “casa” è la Cima dell’Etna. U SICILIANU NOVU vince ogni giorno, perché ha capito che

“Gli antichi popoli sono come i sogni. Se non li si ricorda all’alba giacciono sepolti nella mente remota, ombre vaganti, mute risposte che attendono di offrirsi ad eterne domande. I Siciliani esistono da diecimila anni…”. (M. Di Mauro, L’Ombra di Kokalos – 1992)

@21 APRILE 2016. Mario Di Mauro – Istituto TERRAELIBERAZIONE.