Nello Spettacolo della città diseguale. Catania nel secolo XXI.

di Mario Di Mauro

Ripubblichiamo, dal nostro Archivio, questa Relazione tenuta da Mario Di Mauro -portavoce della Comunità TerraeLiberAzione- al Convegno della Consulta sociale della Città di Catania, tenuto il 21-2-2003.


La città diseguale è la città della frammentazione, delle solitudini, dei muri. La città diseguale è, anzitutto, una città di periferie, di “frontiere”, di luoghi dell’assenza: di memoria, di servizi, di spazi pubblici condivisi. Periferie di un centro, ammassi di case sparse tuttalpiù intorno a un supermercato, ma quasi sempre senza una piazza in cui passeggiare la sera per discorrere, senza una villetta o un campetto in cui i bambini possano rincorrersi al riparo dalla malanova, …di pubblica illuminazione scurusa e piricchiusa, chè “Enel” e Comune anche le lampadine sgavitàno, “risparmiano”…senza un monumento condiviso, un totem, una lenza di sciara rivestita di luce, una palma o un alivu saracinu “riconosciuti”, uno sgriccio di fontana…un niente che basterebbe a trasformare il non-luogo in un Luogo, in cui, magari, qualche “vaddia”, un vigile urbano o uno “sbirro”, lo vedi non solo a fare multe o apporre “sigilli di sequestro”, ma a servire il popolo che soffre veramente.

Catania assediata da “nord” dalla distesa urbanizzata dell’hinterland che incombe…Catania erosa dal dramma irrisolto delle sue periferie…Catania privata del suo mare da una lunga catena di asfalto, binari, muri, inferriate… Catania serrata e svuotata dalla giungla dei Centri commerciali, Misterbianco, Valcorrente…che determinano non la “decongestione” ma lo svuotamento della città, del centro, delle periferie. Catania “certificata” dalla KPMG “città delle convenienze” per l’insediamento di multinazionali calate come Ufo e che come Ufo decolleranno quando le “convenienze” si ridislocheranno nel mercato globale… Queste convenienze non valgono però per tutti: anche qui la nostra città è diseguale… E cosa sarebbe Catania nell’area mediterranea di libero scambio, se mai ci sarà?. Sarà più oppure meno “diseguale”? E da cosa dipende? Vi lascio le domande, sperando producano risposte.

Nella cartolina e nella cartografia naturale Catania è bella come gli occhi di Sant’Agata, un gioiello incastonato tra l’Etna, che è neve e fuoco e sciare di lava e ginestra e boschi, un Mare greco di civiltà antichissime, la Piana delle arance e il Simeto dei fenicotteri rosa…E in una certa misura, questa Terra, bellissima lo è ancora, spesso malgrado i catanesi.

Catania è molte città in una, ma lo è anche nella stratigrafia: distrutta e ricostruita “sette volte”, noi camminiamo sulle ceneri solidificate della Catania consacrata alla Grande Madre Hiblaya e relativi figli, i gemelli pii di Paliké, nel culto di Sikani e Siculi; noi camminiamo sulle ceneri solidificate della Katane siceliota che rivolgeva le sue preghiere a Demeter e Kore e infine ad Iside…prima di incarnarsi in Agata, resistente a una potenza che ci faceva “granaio” e “galera di schiavi”. Agata, la Santa che ci vigghjia, senza la quale noi catanesi siamo niente mischiato con niente. Noi camminiamo sulle ceneri solidificate della Medinat al Fil dei Siqilly, i Siciliani di mille anni fa, i cui nanni e katanannavi venivano dalle terre dei berberi, degli arabi, dall’Ifriqya, dallo Yemen, dalla Persia…insomma tucchi erano.

Medinat al Fil, la città del liotru, dell’elefante, che sorge sotto il Monte Gebel … sbaglia chi ritiene i Siciliani “risultato di chissà quante dominazioni”: noi abbiamo dentro il sangue e le città di 180 generazioni di Siciliani, sicilianizzati e sicilianizzanti. E in Sicilia, lo scrive anche Don Sturzo, furono “dominatori” solo romani e angioini…I primi – nei secoli- ci sterminarono, i secondi li abbiamo buttati a mare…

La nostra “città delle periferie” ha una metafora forte. Il Castello Ursino. Mi chiedo come il centro di un Impero, il cuore del Regnum dei Siciliani (che vede, dal 1282-Vespro al 1412, Catania capitale), sia diventato “periferia mentale”…

Il Castello fu voluto da Federico II, il Siciliano (o dobbiamo negare la cittadinanza siciliana al figlio della Regina Costanza, grande madre dei Siciliani? a Federico picciutteddhu che cresce a Palermo, elegge, ancora carusazzu, la Sicilia a centro del Mondo, si fa seppellire a Palermo? Manco la Bossi-Fini arriverebbe a tanto!). La sua “colpa” è di esser stato nemico dei Guelfi e dell’imperialismo crociato della Chiesa di Roma…la quale lo ha permutato in nemico dei catanesi…lui devoto di Agata!. Castello…Ursino? E cu su? Non c’è mai stata, incastellata a Catania, nessuna famiglia Ursino. Da dove viene questo nome? Castrusinu, forse…castrum sinus, castello sulla spiaggia. E può anche andar bene, ma senza nulla togliere al figlio di Costanza, Federico il Siciliano.

Restauri e valorizzazioni -quelli del Castello- di lentezza estenuante: lavori che vedi cominciare quando hai 6 anni e vai alla prima elementare e li rivedi incompiuti che 6 anni li ha tuo figlio…

Catania è tagliata da un suo muro invisibile, su tracciati analoghi a quelli che possiamo riscontrare in una città del terzomondo: un muro classista che vede “ricchi” e “poveri” abitare ciascuno il proprio spazio, ma non durerà: il Muro cadrà, al contrario: tanti “benestanti” saranno nuovi poveri…

Non che le città del primomondo non siano classiste, anzi, in un certo senso, lo sono ancora di più poichè la modernità vi si compie del tutto con l’espulsione del “Popolo” dai centri storici…Catania è una città popolare, malgrado deportazioni di massa e volontari esodi –più o meno “benestanti”- verso l’hinterland pedemontano, spesso risultato di sventramenti di paesaggio e “sacchi edilizi”… nel “ciclo del cemento” che ha devastato il paesaggio etneo negli anni Sessanta-Settanta ecc. -.

Dopo il terremoto del 1693 e fino all’inizio del Novecento la città si sviluppa all’interno delle linee “camastriane”, tracciate nel Settecento, tanto nella parte barocca e nobiliare che in quella popolare: l’immigrazione dall’entroterra verso le ciminiere dello zolfo produceva, a un passo dal Porto, il quartiere operaio di San Cristoforo, che il suo popolo incompreso ha difeso e difende come può. Fino ad appena 60 anni fa, dal bosco etneo alle lave della Scogliera, il territorio etneo appariva ancora come una cartolina dal paradiso…

Sull’impianto del piano regolatore del 1888, quello di Gentile Cusa (mai approvato, ma “applicato”:!?) si sviluppa l’espansione edilizia che risponde a una forte ascesa demografica: alla fine degli anni trenta Catania supera i 300.000 abitanti e se l’area collinare a nord si popola di ville per le vacanze, tutta una serie di piani di lottizzazione finiscono per unire il centro storico con i sobborghi di Nesima, Cibali e Ognina, fino a eroderne l’identità. E’ già stato rilevato da più parti ma è bene ripeterlo: le sciare di Nesima, gli orti di Cibali, il porto e la spiaggetta di Ognina…la loro valorizzazione, rappresenta un banco di prova decisivo di una visione di città, radicata nella sua Storia e aperta al Mondo. E su questo versante un ruolo fondamentale può essere svolto dalla società civile e dai tecnici del Comune.

Nella prima metà del secolo scorso -mentre nasce la zona industriale a Pantano d’Arci e Catania supera i 225.000 abitanti, triplicata in 40 anni- si sviluppa Picanello, con una versione più “borghese” delle case terrane, con giardinetti e strade vive…fino a quando, nella seconda metà, comincerà la “sostituzione” con i palazzoni dell’anomia, che ne sfigureranno l’identità. Un’altra “periferia”… non “programmata”, quasi un destino che si compie inesorabile a sfigurare Intelligenza e Bellezza.

Nella seconda metà del secolo scorso Catania sventrava se stessa nel boom di una edilizia palazzinara che la “modernizzava” con “larghezza di vedute”: parola dell’onorevole Macrì, sindaco della Milano del Sud. Il barocco è salvato dal piano Piccinato (1964, adottato alcuni anni dopo), ma sulla Scogliera Nera, uno dei luoghi più belli del Mondo, sorge una muraglia di palazzi alti 10 piani…mentre il liberty, per non dire le sciare, se lo bevono allegramente.

Il partito della rendita, delle carriere e dell’appalto, gestore di una particolare relazione col centro del sistema tipicamente neocoloniale, riproduce sul territorio la sua mentalità “periferizzata”: quella stessa mentalità che li porta ad abbaiare alla lava e ad invocare l’inutile Ponte sullo Stretto, nell’epoca del volo aereo a costi da autobus. La “periferia” ce l’hanno nel cervello!.


Nel 1971 Catania ha 400.000 abitanti, mentre l’hinterland di prima e seconda fascia raggiunge i 100.000. Ventanni dopo la città scende a 330.000, la cintura esterna “che incombe” sale a 230.000 (nel 1936 non erano che 40.000 mila): mezza Catania è lì, ma cala in centro, con decine di migliaia di auto, per le più diverse necessità lavorative, amministrative, culturali, ricreative…Una città fuori dalla città, extra moenia, ha divorato un “paesaggio etneo” del quale non importa nulla quasi a nessuno ed è riuscita nel capolavoro di aggravare la congestione dello stesso centro storico.

In quegli anni si consolida il Muro che taglia Catania. Ma il muro più alto è quello che divide le “periferie” tra di loro: microcosmi, realtà abitative, linguaggi della vita spesso così diversi -e lontani tra loro- che se ne può parlare solo al plurale. Per non dire di una catena di Comuni i cui PRG, quando ci sono, si ignorano reciprocamente: e parliamo di situazioni in cui puoi avere la camera da letto in un Comune e il bagno in quello appresso!. E se da un lato ci si ostina a tenere in vita una istituzione inutile come la Provincia, dall’altro continuano a non applicare, neanche in questo campo, lo Statuto di Autonomia della Regione Siciliana che prevede i Consorzi intercomunali… Lasciamo perdere, che poi mi dicono pure “indipendentista” e non so cosa rispondere…perchè non la considero un’offesa, tuttaltro.

Oltre alle “periferie del destino”, nello“Spettacolo della città diseguale”, appaiono anche le “periferie programmate”, attraverso cui, col sostegno statale, il partito della rendita rilancia l’accumulazione e le sue magnifiche sorti e progressive, gestendo al contempo la “risposta” alla crescente “domanda abitativa” popolare. Dai quartieri CEP degli anni ‘50 (Zia Lisa, Monte Po, Villaggio Sant’Agata) ai quartieri della 167 (San Giovanni Galermo, Trappeto Nord e Sud, Nesima Superiore e Inferiore, Canalicchio…). E Librino: città-satellite di nuova fondazione, esperimento urbanistico con 65.000 cavie, previsto nel piano Piccinato, progettato nel 1970 dal giapponese Kenzo Tange… Gigantismo delle costruzioni e spazi dilatati, vuoti che la mente non colma, una desolazione dello spirito che nessuna “cosmetica” potrà trasformare in Bellezza…nè si può ridurre tutto a una questione di welfare (va rilevato comunque che oltre 7.000 famiglie “verificate” vivono sotto la soglia di povertà, ma la fascia della “povertà” è più ampia sebbene contenuta da dignità e solidarietà che scrivono in silenzio una pagina bellissima della storia di questa nostra Catania). E forse c’è speranza solo nella solidarietà e nell’iniziativa diretta della gente che ci vive, nelle “periferie”, come è già accaduto a Librino, costringendo l’amministrazione comunale a prenderne atto con apposita variante urbanistica, come nota l’ing. Maurizio Palermo in un suo studio per il CRESM.

Un altro esempio di periferia programmata è Trappeto Nord, “quartiere a rischio”, così lo chiamano, di 6.000 abitanti “a rischio”, edificato negli anni ‘70-’80 e formato da edifici residenziali IACP, tutti “a rischio” e per il quale si è già reso necessario un intervento di “recupero” attraverso il Contratto di Quartiere (utilizzando anche fondi riservati all’edilizia sperimentale ex legge 457). In breve, più o meno, a Trappeto Nord si deve inventare una piazza in cui discorrere, con una chiesetta, quattro panchine ecc. Perchè se l’erano scordato!? Non voglio scomodare le parole che ho letto in ottime relazioni tecniche: interventi pluridisciplinari ed integrati, sinergie e strategie integrate… task force!. Mi rendo conto del degrado della vita pubblica in quartieri di “frontiera” che stanno a cinque minuti da qui. Ma, lo dico per esperienza, per piantare un alberello dell’identità, a volte ci vuole solo una zappa, un po di terra, un po di amore. Se poi c’è anche un sostegno istituzionale tanto meglio. Sarà una visione poetica, ma la trovo più politica di quella di chi vorrebbe, sic et simpliciter, “risanare dall’alto”.

Va rilevato, per onestà, che il tema delle “periferie” ha acquisito negli ultimi anni una sua “centralità”, nel dibattito politico e nell’intervento pubblico. Diversi strumenti sono stati attivati: il già citato Contratto di Quartiere ne è solo un esempio: c’è il Programma integrato per San Cristoforo, c’è, ma si tratta già di altro, il Patto territoriale Catania Sud (Playa) con fondi di un Programma Operativo dell’Unione Europea. S’è avviata anche a Catania l’esperienza del Programma Urban che riguarda, qui, l’Antico Corso, i Cappuccini, San Cristoforo e la Civita, il centro storico popolare con circa 60.000 abitanti, inclusi migliaia di immigrati: il tutto si è risolto in forme di sostegno dell’esistente, senza alcuno sviluppo identitario e produttivo: questa esperienza andrebbe conosciuta meglio, per trarne lezioni e senza cedere alla polemica: il fallimento sostanziale di Urban -come di quasi tutto il resto- deve produrre una riflessione generale sulla città, sul suo “governo reale” e sul suo avvenire, a partire dalle “periferie”.

Catania città di periferie, Catania città popolare… dominata dal partito della rendita -delle carriere e dell’appalto- che vive la città come spazio non tanto degli affari (magari!) ma dell’affarismo, che ha nel retrobottega di svariati “club service” i suoi “luoghi della politica”, in viale Odorico da Pordenone 54 il suo geniale “teatrino”…

Ecco, questa riflessione deve investire anche loro, Iddhi. Perchè veda la luce quel nuovo patto di condivisione, nel cui ambito magari confliggere, ma senza il quale la città resterà oltremodo diseguale, anche se i servizi dovessero “funzionare bene” e al suo governo giungesse un “sindaco nientemale”.

L’unica forza che sia riuscita, per breve tempo, a spezzare l’egemonia del partito della rendita su Catania…è rappresentata dal partito di De Felice, nel primo ventenio del secolo scorso.

Una fitta rete di cantine sociali, cooperative di produzione, leghe contadine… garantiva al partito di De Felice un retroterra solido nelle terre della piana e della costa jonica, con capacità frontiste non indifferenti rispetto al mondo cattolico, nel Calatino.

Il tasso di sindacalizzazione del lavoro dipendente e artigianale in Sicilia era tra i più alti d’Europa; Catania era governata dal “socialismo municipale” con un mix di sgravi fiscali sui dazi per le materie prime in entrata, agevolazioni tributarie e finanziamenti alle nuove imprese, sviluppo della portualità, “audace politica dei lavori pubblici” (G.Barone), municipalizzazione dei servizi…Una politica realista, che coniuga in uno schema di crescita le esigenze della Camera del Lavoro con quelle della Camera agrumaria e della Camera zolfifera…Ma, in relazione al nostro convegno di oggi, va rilevato quel colpo di genio del partito di De Felice credo rappresentato dalla MUNICIPALIZZAZIONE DELLE AREE EDIFICABILI IN UNA VISIONE COMPLESSIVA CHE ANDAVA DALLA APERTURA DI ARTERIE VERSO IL MARE AL RISANAMENTO DEL BORGO E DI SAN BERILLO AD OPERAZIONI PIU’ RADICALI SULLE SEZIONI IDRIA, FORTINO E CIVITA. L’operazione non andò a compimento per varie ragioni che ci porterebbero lontani dalle urgenze di questo convegno; la scissione del socialismo catanese sulla guerra di Libia segna forse, in un certo senso, la fine di un disegno populista alternativo al partito della rendita, che vede invece Catania, al più, come sbocco portuale per i pani di zolfo (e le arance e l’acido citrico) che altrove produrranno i maggiori profitti; il partito di Carnazza riprese il controllo della città e le lotte di potere, di li a poco, si sarebbero sviluppate nel pluralismo determinato dal quadro imposto dal regime fascista. Ma quella defeliciana fu una città nella quale, per dirne una, si produssero in 5 anni oltre 300 film e documentari attraverso case cinematografiche che si chiamavano Morgana Film, Etna Film, Sicula Film, Katana Film…tutte svanite nel nulla.

Al momento ci può bastare l’aver fissato un punto fermo per ricavarne che, in un certo senso, non c’è oggi nessun “caso Catania”: c’è Catania, ed è questa!. Loro, fin dai tempi dei vicere, hanno vinto. Loro, i massari della Corona, contrattano la dipendenza neocoloniale della Sicilia, e di Catania, col Maqueda di turno e col centro del sistema; invisibili, per esempio, quando costruiscono le carriere dei figli possono, a volte, perfino recitare l’impegno civile, sebbene anche quando parlano di acqua, di mafia, di degrado, di trasporti inefficenti, di bambini affamati…hanno sempre in testa un’altra cosa: come cavarne un profitto. Loro sono di destra, di sinistra, di centro; loro sono tutto quello che vogliono essere: quando i soldi si facevano con palazzi di 10 piani che fra meno di dieci anni cominceranno ad “aprirsi” uno dopo l’altro per compimento del ciclo vitale di quel “cemento”, eccoli li, Iddhi, a configurare piani di espansione e “legalità”, che prevedevano una crescita della città fino a 1.200.000 abitanti! La loro “Milano del Sud”…

Quando il rallentamento della domanda e l’avanzare decennale della recessione economica -accelerata dal crollo dei Cavalieri- ridislocano il meccanismo della rendita esplode la moda del recupero dei centri storici e il turismo diventa l’ultima spiaggia…e vai a scoprire che loro hanno già da anni pronte società di servizi, progetti di alberghi, e ombrelloni nuovi di zecca.

Le nuove parole-chiave sono: riqualificazione, recupero, restauro, ristrutturazione…nel quadro di interventi di tipo straordinario: PRU, PII, POR, PRUSST, PIT…strumenti figliati generalmente nella logica dell’Obiettivo 1 (Regioni arretrate dell’Unione Europea), nelle forme dello sviluppo teleguidato, sebbene non privo di aspetti formalmente positivi sul piano della cultura urbana e della civiltà dell’abitare.

Meglio che niente, peccato però che in testa, ancora una volta, non abbiano Catania, ma, quando ci va bene,…Copacabana!.

Mai che Catania fosse Catania e basta, bella da morire e tradita senza pietà, ora in questa Copacabana col barocco globalizzato, sempre più confuso nel franchising macworld, ci dobbiamo imbucare due milioni di turisti all’anno…Ottima idea, ma i flussi non li gestisce l’Unesco…e molti alberghi finiranno per venderseli: alla multinazionale di turno o, del tutto, come appartamenti. Lo “spettacolo del barocco” ci passerà sulla testa insieme ai voli charter? La città diseguale sarebbe meno “provinciale”, ma non meno diseguale.

La periferia, le periferie, si definiscono in relazione a un centro: questo è il centro, e le periferie viste dal centro sono spazi della spietatezza, della scorreria elettorale, del clientelismo minuto, dell’incultura e del disagio come risorse di una nuova industria dell’assistenzialismo. E della Nemesi: il pizzo, la protezione, l’assicurazione su furto e incendio in salsa catanese…sono pur sempre roba da poveri, canali di redistribuzione del reddito tipiche di una metropoli neocoloniale del terzomondo…un problema del quale si verrà a capo solo rivoltando la Terra dal profondo, liberando la crescita dell’Albero dell’identità e della civiltà, alzando sul mondo, tutti pari, uno sguardo catanese e siciliano. Non è solo questione di polizia, lo sanno tutti, nella Città diseguale, nella città il cui territorio non è governato da nessun piano che non sia quello della rendita più o meno “depurata” dal pizzo e coniugata all’incolta furbizia e alla lungimirante fretta dei ceti dominanti. La stessa furbizia e la stessa fretta dei “ragazzi del villaggio” che gestiscono la loro specialissima società di assicurazione…In fondo tra la cosca X e la camarilla Y ci sono meno di cento passi, una distanza governata da un “compromesso moderato” che configura una delle Leggi di funzionamento della nostra Città diseguale, in cui rendita e pizzo possono allearsi o scannarsi, dopo aver fiutato l’aria che tira…

La città diseguale si alimenta anche dell’impatto sociale delle tariffe e del costo dei servizi. Acqua, gas, nettezza urbana, parcheggi… pagheremo a privati i quali avranno un solo obiettivo, leggittimo: il profitto. Si stanno vendendo risorse costruite col lavoro e i soldi di tutti: ma la cosa è normale, per tutti… Cosa ne pensa la sinistra? E’ un eufemismo, una domanda retorica, un attimo di smarrimento…scusate. Basta guardare il CdA della Sostare per capire come la pensa certa Sinistra. E sul Gas…

Non siamo contro la gestione efficentistica delle risorse pubbliche: ma siamo sicuri che essa verrà garantita dai privati più di quanto non lo possa essere dal “pubblico”, magari in forma di società miste a partecipazione diffusa…?

La città diseguale si alimenta anche di bruttezza. Da quanti secoli a Catania non si costruisce nulla di bello? La domanda vuole essere provocatoria, ma la “Catania da bere”, città sperta che dovrebbe accogliere milioni di turisti spendaccioni sbarcati dal cielo e dal mare, galleggia invece solo sul genio dei morti: Vaccarini, Ittar, Biscari…e quant’altri, pazienti scalpellini e sapienti muratori, la ricostruirono, sulle macerie del terremoto del 1693, nella luce di un barocco metafisico espressione di una idea di Bellezza che avvicinava a Dio, alla Kallipolis di Platone in cui perfetta è la corrispondenza tra organizzazione del Kosmos, della Polis e dell’Anima.

Al momento lo spettacolo della merce e l’ideologia dello shopping -col solo limite imposto dalla propria carta di credito- configurano l’orizzonte di senso della maggioranza e tutto è più complicato per chi dalle contraddizioni della città diseguale prova a suscitare un movimento di ricostruzione identitaria, civile, democratica…per la città solidale: città di città, città policentrica. Catania catanese, siciliana, mediterranea. Catania città sicura di sé, aperta, “spetta” nel senso migliore del termine.

Mario Di Mauro- Fondatore della Comunità TerraeLiberAzione.